Licenziamento per giusta causa: Non sempre il lavoratore prevale.

Con questa Sentenza, il Tribunale di Ancona ha confermato il licenziamento, per giusta causa, irrogato ad un lavoratore del settore cantieristico. Gli spunti sono molto interessanti: Il lavoratore che ritiene di aver subito un trasferimento illegittimo dovrà comunque presentarsi presso la nuova sede di lavoro e impugnare il trasferimento nei modi e nei termini di legge. Infatti il rifiuto del lavoratore di raggiungere la sede di destinazione, seppur motivato dal carattere asseritamente ritorsivo del trasferimento, configura gli estremi dell’assenza ingiustificata e, di conseguenza, della giusta causa di licenziamento. Accolte le tesi degli avvocati Giulia Pusateri del foro di Palermo e Massimo Sidoti del foro di Padova, che difendevano il datore di lavoro, che negava la natura ritorsiva del trasferimento del lavoratore, da Ancona a Palermo.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE di ANCONA

SEZIONE LAVORO

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. Arianna Sbano ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 1/2019 promossa da:

[RICORRENTE], con il patrocinio dell’avv. [OMISSIS] e dell’avv. [OMISSIS] elettivamente domiciliato all’indirizzo PEC

ATTORE/I

contro

[RESISTENTE], con il patrocinio dell’avv. SIDOTI MASSIMO e dell’avv. PUSATERI GIULIA

CONVENUTO/I

Uditi i difensori delle parti che all’udienza odierna dell’1 ottobre 2019 hanno concluso come da verbale di udienza ed in atti

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente, dipendente della società convenuta come operaio coibentista dal [OMISSIS] e licenziato per giusta causa con missiva del 24.4.2019, impugna il licenziamento irrogato in quanto nullo perché ritorsivo, chiedendo, in via principale, la reintegrazione sul posto di lavoro ed il risarcimento del danno pari a tutte le retribuzioni perdute ex art. 18 L. 300/1970 ovvero, in via subordinata, la tutela indennitaria di cui all’art. 3 L. 23/2015. Il giudizio, originariamente introdotto ai sensi dell’1 co. 48 L. n. 92/2012, subiva il mutamento del rito in quello ordinario ex art. 414 c.p.c., dopodiché si costituiva la società convenuta, chiedendo il rigetto dello stesso.

Risulta dagli atti che il ricorrente è stato licenziato per essere stato assente dal 1° marzo 2018 in poi, a seguito di lettera di contestazione degli addebiti del 28 marzo 2019. Assume, tuttavia, il ricorrente che tale assenza, pur se non contestata, non sarebbe stata volontaria ma conseguente al suo allontanamento dal posto di lavoro presso il cantiere di Ancona, al quale gli era stato inibito di entrare, già a fine febbraio 2018 (poi corretto, nelle note conclusionali, al 1° marzo), a seguito della disattivazione del proprio badge di ingresso. D’altronde, il rifiuto delle proprie prestazioni lavorative ed il trasferimento disposto dalla società, anticipato a voce già a febbraio, presso il cantiere di Palermo, sarebbero dovuti a ragioni ritorsive per essere il ricorrente il genero di [OMISSIS], ex dipendente storico della [RESISTENTE], dimessosi a gennaio 2018 per dissapori con il datore di lavoro. Essendo, dunque, la ragione del licenziamento fondata su di un’assenza non giustificata, sono state ammesse le prove richieste da parte del ricorrente al fine di dimostrare che tale assenza fosse stata determinata dal comportamento ostruzionistico del datore di lavoro che, a suo dire, gli aveva impedito l’accesso al cantiere di Ancona. Sul punto, ha deposto il suocero del ricorrente che, tuttavia, già da metà febbraio 2018 non si trovava più ad Ancona. Egli, dunque, ha solo saputo riferire che il genero lo aveva chiamato per telefono, ai primi di marzo, dicendogli di non poter entrare presso il cantiere della [ALFA] di Ancona perché il badge non timbrava più. Egli aveva, dunque, chiamato il capo cantiere [TIZIO] che però gli aveva riferito che non poteva fare nulla. Tale versione dei fatti è apparentemente confermata dal teste [CAIO], altro parente acquisito del [RICORRENTE] in quanto zio della moglie, il quale ha dichiarato di avere assistito all’accesso negato del [RICORRENTE] presso [ALFA], trovandosi casualmente ad Ancona (pur se non più alle dipendenze della [RESISTENTE] da mesi e vivendo a Venezia). Egli, tuttavia, ha confusamente collocato tale fatto verso giugno o luglio, apparendo, in tal modo, poco credibile. I testi di parte convenuta, [SEMPRONIO] e [MEVIO], dipendenti della [RESISTENTE] di stanza a Palermo, nulla hanno potuto riferire sull’episodio di cui sopra ma hanno confermato che il [RICORRENTE] non aveva più dato notizie di sé dal marzo 2018, non rispondendo neppure alle telefonate. Quanto all’avvenuta disattivazione o meno del badge di ingresso presso il cantiere di Ancona, i suddetti testi non hanno saputo ricordare la circostanza, riferendo che, comunque, il badge è di proprietà di [ALFA] al quale la società comunica le vicende contrattuali del singolo lavoratore, in modo tale che, al momento dell’assunzione o licenziamento, il badge venga attivato e disattivato. Veniva, pertanto, emesso, ex art. 421 c.p.c., ordine di esibizione a [ALFA] della documentazione di attivazione e disattivazione del badge di accesso del ricorrente, tra cui le comunicazioni del datore di lavoro. Ebbene, il terzo ha esibito in giudizio la comunicazione della [RESISTENTE] in merito alla richiesta di permesso di ingresso per il [RICORRENTE] all’atto della sua assunzione a novembre 2017. Quanto alla disattivazione, ha prodotto unicamente copia dell’UNILAV relativo alla comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro del medesimo dal 24 aprile 2018. Non risulta, dunque, da quanto sopra che [ALFA] abbia ricevuto mandato da parte della [RESISTENTE] di disattivare il badge del [RICORRENTE] prima del suo formale licenziamento. D’altronde, se fosse vera la versione del ricorrente, apparirebbe alquanto strano che egli, vedendosi impedito l’ingresso in cantiere, ancora prima di ricevere la formale comunicazione del trasferimento a Palermo (ricevuta solo in data 27 marzo), non abbia in alcun modo protestato con il datore di lavoro, provvedendo ad offrire la propria prestazione lavorativa. Egli, al contrario, da quanto riferito dai testi, si sarebbe limitato ad andarsene da Ancona per raggiungere la propria famiglia a Venezia, omettendo anche di comunicare alla datrice di lavoro il suo nuovo indirizzo al fine di facilitare le comunicazioni (si noti che lo stesso contratto di assunzione reca l’indirizzo del [RICORRENTE] di Via [OMISSIS], pur avendo egli cambiato la residenza dal marzo 2017, sicché deve ritenersi che il primo fosse l’unico indirizzo conosciuto dalla [RESISTENTE]). Appare, dunque, del tutto sfornita di prova l’allegazione secondo cui l’assenza dal lavoro sarebbe dovuta all’allontanamento forzoso disposto dal datore di lavoro. Conferma della volontarietà dell’assenza si ricava, peraltro, dalla stessa lettera di giustificazione e risposta del lavoratore alla contestazione dell’addebito, laddove, il medesimo, lungi dall’affermare quanto oggi sostenuto, confessa che “Non si tratta pertanto di un'assenza ingiustificata ma di una seria e fondata presa di posizione su un trasferimento del tutto ritorsivo e come tale illegittimo”. Appare, dunque, chiaro che il ricorrente si è rifiutato, dal marzo in poi, di presentarsi sul luogo di lavoro, al solo fine di protestare contro la misura del trasferimento, peraltro, solo preannunciata oralmente e non ancora formalmente comunicata.

Ebbene, si ricorda che, in proposito, la giurisprudenza consolidata afferma (v. Cass. Sez. L, Sentenza n. 3959 del 29/02/2016) che “In caso di trasferimento non adeguatamente giustificato a norma dell'art. 2103 c.c., il rifiuto del lavoratore di assumere servizio presso la sede di destinazione deve essere proporzionato all'inadempimento datoriale ai sensi dell'art. 1460, comma 2, c.c., sicché lo stesso deve essere accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria, configurandosi altrimenti l'arbitrarietà dell'assenza dal lavoro (v. successive conformi, Ordinanza n. 29054 del 05/12/2017, Sentenza n. 434 del 10/01/2019: “in tema di trasferimento adottato in violazione dell'art. 2103 c.c., l'inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa in quanto, vertendosi in ipotesi di contratto a prestazioni corrispettive, trova applicazione il disposto dell'art. 1460, comma 2, c.c., alla stregua del quale la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede e sia accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria, con valutazione rimessa al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se espressa con motivazione adeguata ed immune da vizi logico-giuridici”).. Nel caso di specie, da quanto sopra esposto, anche a voler ammettere che il preannunciato trasferimento fosse illegittimo, il ricorrente non ha dimostrato di avere seriamente offerto la propria disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria, preferendo allontanarsi da Ancona per attendere lo svolgimento degli eventi. Dunque, a prescindere dall’intervenuta decadenza o meno del ricorrente, ex art. 32 L. n. 183/2010, dalla possibilità di impugnare il trasferimento, questione che qui non rileva, risulta che il licenziamento sia stato irrogato legittimamente per un’assenza ingiustificata dal servizio per oltre 5 gg. consecutivi, fattispecie che, a mente del CCNL di categoria, giustifica la sanzione massima del licenziamento senza preavviso. Alla luce della sussistenza del fatto contestato, corrispondente ad un illecito disciplinare tipizzato, deve ritenersi non provato il motivo ritorsivo il quale, come noto, quale motivo illecito determinante, deve ritenersi essere l’unica ragione del recesso (v. da ultimo Cass. v. Sez. L - Sentenza n. 9468 del 04/04/2019: “In tema di licenziamento nullo perché ritorsivo, il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, cioè costituire l'unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale; ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all'applicazione della tutela prevista dall'art. 18, comma 1, st.lav. novellato, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento”. Il ricorso va, di conseguenza, respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Giudice del Lavoro, definitivamente decidendo nel procedimento n° 1/19 R.C.L., ogni contraria istanza od eccezione disattesa:

Respinge il ricorso;

Condanna parte ricorrente al pagamento in favore della convenuta delle spese del procedimento che liquida in euro 4.000,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Ancona, il 1 ottobre 2019

Il Giudice dott. Arianna Sbano

 

 

Studio Legale Sidoti & Soci Tel. +39 049 82 56 56 9 info@studiolegalesidoti.eu

Questo sito utilizza cookie di terze parti legati alla presenza dei “social plugin”.NON utilizza alcun cookie di profilazione.

Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque suo elemento acconsenti all'uso dei cookie.